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Esegesi di D.45,1,38,20

     Per questo, la dottrina recente sostiene che l’estinzione dell’obbligazione per il pagamento della somma minore all’ “adiectus”, si possa spiegare soltanto quando questa somma rappresenta la propria prestazione e la somma maggiore aveva la funzione di pena. Perciò, la “stipulatio mihi decem aut quinque Titio” deve essere trattata come la “stipulatio si Titio quinque non dederis, decem mihi dari”. Da questo punto di vista, questa soluzione ha combinato i primi due espedienti per sfruggire l’applicazione del principio, cioè la pena convenzionale e “adiectio solutionis causa”.
 
 (4) rapporti tra gli espedienti e la teoria dell’interesse
 
 condisderiamo anzitutto la pena convenzionale. Nel passo D.45,1,38,17, il testo fa anche riferimento all’interesse dello stipulante. “…inventae sunt enim huiusmodi obligationes ad hoc, ut unusquisque sibi adquitar quod sua interest: certerum ut alli detur, nihil interest mea…”. Qui il passo proposto una spiegazione generale, dal punto di vista della mancanza dell’interesse dello stipulante, per giustificare il principio “alteri stipulari nemo potest”.
 
 Nel caso di “stipulatio sibi aut alteri”, per esempio, D.45,1,118,2, anche ci si riferisce al problema dell’interesse. “… finge mea interesse, Tizio potius quam mihi solvi…”(finge essere mio interesse, pagarsi piuttosto a Tizio, che a me.)
 
 Il problema significativo è che nei casi in cui si vuole sfruggire l’applicazione dell “alteri stipulari nemo potest”, ci si riferisce generalmente anche alla teoria dell’interesse. Da qui deriva la necessità di rivalutare la teroria dell’interesse nell’età classica. A quell’epoca valeva il principio generale della validità della stipulatio “in favorem tertii” in base all’interesse dello stipulante? La risposta, in base alla considerazione letterale, molto probabilmente è sì, ma quando si fa riferimento al problema dell’interpolazione possibile, la risposta diventa più compilcata.
 
 Secondo la maggiore parte dei romanisti, i passi sul tema che stiamo esaminando, sono molto probabilmente stati interpolati. Secondo loro, nell’età classica, vi erano soltanto alcune eccezioni della regola “alteri stipulari nemo potest” che sono realizzate attraverso diversi espedienti. In via generale, non vi era state rinvenito un principio generale che poteva conferare la validità della “stipulatio alteri” qualora lo stipulante vi abbia un’interesse. Le spiegazioni dal punto di vista dell’interesse che giustificavano le tecniche adoperate dai giuristi romani furono completamente invenzioni dei compilatori giustinianei.
 
 4.4.il problema dell’interpolazione
 
 Rivediamo il testo di D.45,1,38,20. “Si stipuler alli, cum mea interesset, videamus, an stipulatio committetur. Et ait Marcellus stipulationem valere in specie huiusmodi. Is, qui pupilli tutelam administrare coeperat, cessit administratione contutori suo et stipulatus est rem pupilli salvam fore. Ait Marcellus posse defendi stipulationem valere: interest enim stipulatoris fieri quod stipulatus est, cum obligatus futurus esset pupillo, si aliter res cesserit.” Nelle analisi preliminari che sopra riportato, ho indicato che fra le tre parti del testo, la prima parte propone una domanda generale sulla validità della stipulazione per i terzi quando lo stipulante vi abbia un interesse. Ma nella seconda parte, Marcello trattava soltanto un caso speciale di stipulazione di questa natura. Perciò, letteralmente, vi è una frattura fra queste due parti.
 
 Consideriamo poi una ripetizione dell’“ait Marcellus” nel testo. Secondo il Pacchioni, nel testo, le frasi dalla “si stipuler…” alla “…in specie huiusmodi” e quelle dalla “interest enim…” alla “…aliter res cesserit” sono state interpolate
    . Lo scopo dell’interpolazione era molto chiaro. L’interpolazione all’inizio del passo, funziona come un’introduzione alla decisione successiva è di fatta per rendere sotto l’aspetto di una decisione sigolare conforme un principio generale. Nell’interpolazione a chiusura del passo, attraverso l’aggiunta della giustificazione della teoria dell’interesse, il parere di Marcello si dimostra come un esempio normale in confronto all’esistenza presunta generale validità della stipulazione per altri quando vi sia presenta un interesse proprio.
 
  Anche nel passo notissimo D.45,1,38,17., la giustificazione generale del principio di “alteri stipulari nemo potest” dal punto di vista della mancanza dell’interesse dello stipulante nella stipulazione è interpolata. Queste frasi nel passo “inventae sunt enim huiusmodi obligationes ad hoc, ut unusquisque sibi adquirat quod sua interest: ceterum ut alii detur, nihil interest mea” sono state interpolate con l’intenzione di generalizzare il principio della validità della “stipulatio alteri” per il caso in cui ci fosse eventuale interesse dello stipulante
    .
 
 Nel passo D.45, 1,118,2., dove si tratta la stipulatio “sibi aut alteri”, pure si trova l’espressione “…finge mea interesse, Titio potius quam mihi solvi…”. Secondo gli interpolatisti, anche questa è stata interpolata
    .
 
 Consideraimo adesso un fenomeno molto interessante. Secondo le dottrine degli interpolatisti, tutti gli espedienti adoperati dai giureconsulti classici per sfuggire il divieto “alteri stipulari nemo potest” sono stati interpolati in base alla teoria dell’interesse. I passi sul tema di “stipulari alteri” dei giuristi classici quindi alludono direttamente o indirettamente all’esistenza di un’eccezione abbastanza ampia del divieto. Ma a livello letterale, il passo D.45,1,38,20. che fa riferimento all’interesse dello stipulante nella stipulazione non può sostenere l’ipotesi della validità generale della “stipulatio alteri” qualora vi sia un interesse dello stipulante. Gli ambiente giuridici in quel tempo neppure permisero questa supposizione. Possiamo dedurrlo dalla pratica faticosa dei giursti classici dell’evasione del divieto di “alteri stipulari nemo potest”.
 
 In generale, mi pare che sia possibile affermare la mancanza di un principio generale sulla validità della “stipulari alteri” in base alla presenza dell’interesse dello stipulante, nel diritto romano classico. In questa epoca, invece il principio “alteri stipulari nemo potest” rimase abbastanza rigido. Le eccezioni accettabili di questo principio furono assai rare. I giuristi classici erano riusciti a trovare qualche espediente occasionale per evitare l’applicazione di questo principio, ma non avevano dato vita ad una soluzione sistematica in torno al problema. Da questo punto di vista, l’opinione di Marcello valse soltanto in un caso speciale della “stipulatio alteri”. La teoria dell’interesse per giustificare la validità della “stipulatio alteri” non mostrò una soluzione di carattere generale in quest’epoca.


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