In questo passo, il riconoscimento dell’eccezione al principio si è realizzato attraverso la teoria dell’interesse dello stipulante nello “stipulari alteri”. Ma il problema è: qual è il rapporto fra questo passo e la teoria dell’interesse? Nel caso trattato da Marcello, la sua soluzione è ispirata alla teoria dell’interesse, o viceversa, la soluzione occasionale di Marcello schiude ai giuristi romani una metodologia capace di scalvacare il rigido principio “alteri stipulari nemo potest”? Le risposte a queste domande, non possono aversi, se non facendo riferimento ai passi contestuali e al problema dell’interpolazione.
4.3. esegesi contestuale del passo
Come ho indicato sopra, il passo D.45,1,38,20. presenta qualche dubbio. Il passo conferma certamente la possibilità di ammettere l’eccezione al principio “Alteri stipulari nemo potest”, ma la natura di questa eccezione non è chiara se consideriamo questo passo isolatamente. In fatti il passo non sostiene l’impostazione secondo cui già nell’età classica, valeva il principio generale della validità della stipulazione per terzi in base all’presenza di un interesse giuridico dello stipulante nella stupulazione. L’opinione di Marcello fa riferimento soltanto a un caso speciale (“stipulationem valere in specie huiusmodi”). Perciò, dobbiamo considerare concretamente gli espedienti adoperati dalla giurisprudenza classica per sfuggire all’applicazione della regola “alteri stipulari nemo potest”. Succesivamente valutare la portata della soluzione sostenuta da Marcello nel passo.
Nell’ambiente sociale dell’impero, il rigido dogma dell’invalidità della “stipulatio alteri” doveva urtare contro le esigenze del commercio giuridico. I giuristi romani cercavano soluzioni diverse per sfuggire a questa regola. secondo le dottrine tradizionali, si faveva ricorso ai seguenti strumenti:
(1)pena convenzionale. Vediamo il passo notissimo D.45,1,38,17. dove Ulpiano propone prima il principio “alteri stipulari nemo potest”, e subito dopo un’espediente per evadere la sua applicazione. “Alteri stipulari nemo potest… Plane si velim hoc facere, poenam stipulari conveniet, ut, si ita factum non sit, ut comprehensum est, committetur stipulatio etiam ei, cuius nihil interest:poenam enim cum stipulatur quis, non illud inspicitur, quid intersit, sed quae sit quantitas quaeque condicio stipulationis”. Attraverso la pena convenzionale, la stipulazione a favore a terzo può essere applicabile indirettamente.
(2) “adiectio solutionis causa”. Un altro espediente nel campo dei contratti a favore del terzo, che la tecnica giuridica romana metteva a disposizione era l’ “adiectio solutionis causa”. Benchè non si potese procedere a “stipulatio alteri”, i giurisconsulti utilizarono le altre due forme, simili rispetto alla “stipulatio alteri”, cioè la “stipulatio sibi et alteri” e la “stipulatio sibi aut alteri”.
Della “stipulatio sibi et alteri”, troviamo trattazione in Gaio. “Praeterea inutis est stipulatio, si ei dari stipulemur, cuius iuri subiecti non sumus. Unde illud quaesitum est, si quis sibi et ei, cuius iuri subiectus non est, dari stipuletur, in quantum valeat stipulatio. Nostri praeceptores putant in universum valere et proinde ei soli qui stipulatus sit solidum deberi, atque si extranei nomen non adiecisset. Sed diversae scholae auctores dimidium ei deberi existimant, pro altera vero parte inutilem esse stipulationem”
. Secondo la dottrina seguita dalla scuola sabiniana, ma la stipulazione di questa natura è valida, pero la prestazione deve essere eseguita verso lo stipulante anziché il terzo. I Proculiani invece insistono che la stipulazione rispetto al terzo cioè quella parte “et alteri” sia invalida. Possiamo dedurre che il principio di “alteri stipulari nemo potest” in tal soluzione restava ancora assoluto
. Ma il pensiero della scuola sabiniana confermava che almeno nell’età classica, qualche studioso amise che quando la stipulazione si riferiva allo stipulante e ai terzi colletivamente, poteva avere validità come stipulazione normale. Ma il problema è che in questi casi, il terzo non poteva ricevere la prestazione indipendentemente.
Nella “stipulatio sibi aut alteri”, il terzo appare alternativamente accanto allo stipulante, e può acquistare la prestazione come “solutionis causa adiectus”.
Vediamo il passo D.46,3,98,5. “Qui stipulatus sibi aut Titio, si hoc dicit. Si Titio non solveris, dari sibi: videetur conditionaliter stipulari. … At ubi simpliciter sibi aut Titio stipulatur, solutionis tantum causa adhibetur Tititus…” (chi stipula di darsi a sè o a Tizio, si dice questo, cioè di darsi a sè, se Tizio non pagherà, sembra stipulare condizionatamente. … Ma laddove stipula semplicemente per sè o per Tizio, Tizio viene adoperato soltanto per motivo di pagamento). In questo caso, la stipulazione con riferimento al terzo è valida. Il terzo assume la posizione di soggetto addetto a ricevere il pagamento, quindi non ha una posizione giuridica indipendente. Il punto debole di questo istituto era nell’impossibilità di costringere il promittente a pagare all’ “adiectus”. Questa debolezza è eliminata dai giuristi romani attraverso la clausola “utrum ego velim” aggiunta alla normale forma della stipulazione. Vediamo in D.45,1,118,2, un passo di Papiniano: “decem mihi, aut Titio, urtrum ego velim, dare spondes? Ex eo, quod illi solvendum, incerti; finge mea interesse, Titio potius quam mihi solvi: quoniam poenam promiseram, si Titio solutum non fuisset” (Prometti dare dieci a me o a Tizio, qual io vorrò? Per quello, che a me devesi dare, evvi stipulazione di cosa certa; per quello, che a colui deve pagarsi, è di cosa incerta; fingi essere mio interesse, pagarsi piuttosto a Tizio, che a me; poichè aveva il promesso una penale, se a Tizio non si fosse pagato.) Papiniano deduce da questa cauzione un’azione “certae pecuniae” dalla parola “mihi dare” e un’azione “incerti” dalle parole “aut Titio utrum ego velim” a scelta dello stipulante che si è deciso a chiedere il pagamento al terzo
. Questa soluzione indica notevolmente l’arrichimento della tecnica giuridica nello sviluppo dei contratti a favore dei terzi.
(3) soluzione che combina la pena convenzionale e l’“adiectio solutionis causa”
Sempre nel passo D.46,3,98,5., Paolo ha proposto un’altra stipulazione di “sibi aut alteri”. “… Et ideo etiam sic facta stipulatione, mihi decem, aut quinque Titio dari? Quinque Titio solutis, liberabitur reus a stipulatore. Quod ita potest admitti, si hoc ipsum expressim agebatur, ut quasi poena adiecta sit in persona stipulantis, si Titio solutum non esset.” (… E però facendosi anche così una stipulazione, prometti darsi dieci a me o cinque a Tizio? Pagati i cinque a Tizio, il debitore sarà liberato in faccia allo stipulante. Il che può ammettersi così, se di questo espressamente trattavasi; che quasi una penale sia stata aggiunta per la persona dello stipulante si a Tizio non si fosse pagato.) Questo passo è oggetto intensa discussione della dottrina. Il problema è se sia vero che la stipulatio “sibi aut alteri” dalla persona aggiunta del creditore che con la stipulazione si può ritenere l’obbligazione estinta per il pagamento della somma minore. Dal punto di vista del formalisimo dello Jus civile, il pagamento della somma minore da quella dovuta non effettua la “solutio” dell’obbligazione, se anche il creditore accettante vuole accontentarsene.
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